Daniele Barbieri, tra i più noti studiosi del fumetto in Italia, assegna ad un paragrafo dell’ottavo capitolo del suo libro Breve storia della letteratura a fumetti un titolo molto efficace per introdurre la discussione sul fumetto italiano degli anni Settanta: “La rivoluzione di Linus”. Linus, come gli amanti della Nona Arte certamente ricorderanno, è uno dei protagonisti dei Peanuts di Schulz, celeberrima striscia comica nata nel 1950, il cui stile nitido e minimale costituirà la fortuna dell’autore. È proprio con una conversazione sui Peanuts che si apre il primo numero del mensile Linus, uscito nell’aprile del 1965 per volontà e sotto la direzione di Giovanni Gandini. Protagonisti della conversazione sono intellettuali interessati in diversa misura e maniera al mondo del fumetto: Umberto Eco (docente del DAMS, fucina di talenti artistici, e suo cofondatore), Elio Vittorini e Oreste Del Buono, che diventerà poi il direttore della rivista, quando quest’ultima assumerà un taglio più politico e movimentista. L’aspetto rivoluzionario di Linus non è tanto legato alla scelta del fumetto come materia principale, quanto all’approccio con il quale esso viene trattato: la rivista lo considera e lo tratta come una rivista letteraria considererebbe il romanzo, secondo un approccio che Barbieri definisce “storico-critico”. Questa parentesi negli anni Sessanta sarà dunque essenziale per aprire la strada a un nuovo modo di considerare i fumetti, che non abbandonano il loro carattere ludico-ricreativo, ma acquisiscono anche uno spessore e una dignità letteraria mai ottenuti prima. Oltre ad autori americani e francesi, su Linus appaiono i primi fumettisti italiani, come Guido Crepax, Sergio Toppi, Dino Battaglia e, dal 1972, Hugo Pratt e il suo Corto Maltese. È su quest’onda di “legittimazione” del fumetto come forma artistico-letteraria che si muoverà anche la Francia, i cui autori e artisti sono in stretto dialogo con quelli italiani. La consuetudine di pubblicare i supplementi a Linus si traduce nel 1974 nella creazione di una testata parallela, AlterLinus, destinata a serie di carattere fantastico. Il quadro inizia ad evolversi attorno alla metà del decennio. L’evento che modificherà la rotta è la pubblicazione su Il mago di una storia di Filippo Scòzzari – sotto pseudonimo – nel 1976: Ripresa registica di avvenimento agonistico. Scòzzari è il componente più anziano di un gruppo di giovani autori che diventeranno i protagonisti indiscussi del fumetto italiano degli anni Settanta: siamo a Bologna, nel pieno dei fermenti politici e culturali del Movimento studentesco, e il fumetto assume qui il valore di mezzo di comunicazione rapido ed efficace e, soprattutto, libero dai condizionamenti di mercato. Quella sfumatura politico-sociale che Linus aveva dato alla Nona Arte diventa in questo contesto un carattere essenziale. Nel 1977 il gruppo fonda la rivista Cannibale (“per dare l’idea di qualcuno che ha molta fame”): Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Massimo Mattioli, Andrea Pazienza e, ovviamente, Scòzzari, domineranno la scena artistica e culturale di quegli anni. Gli stessi artisti, legati alle istanze delle avanguardie che avevano incontrato durante la loro formazione artistica, parteciperanno poi all’esperimento satirico de Il Male(1978-81). Il fumetto ha da ora in poi un carattere conturbante, immorale, irriverente, scorretto al massimo delle sue potenzialità, estremo: un carattere che respinge, talvolta, ma che molto spesso attrae. Sono molti i giovani – e non solo – e gli intellettuali che si identificano nei personaggi e nelle frasi racchiuse nei balloons scarabocchiati dai Cannibali della Traumfabrik. È proprio su Alter che farà il suo debutto Andrea Pazienza, con Le straordinarie avventure di Pentothal, in uno stile che è fortemente debitore all’underground americano e alla psichedelia di Moebius. Lo stesso gruppo, dal 1980, sarà protagonista del progetto Frigidaire, caratterizzato dalla stessa attitudine irriverente di Cannibale. Potremmo, dunque, definire il fumetto italiano degli anni Settanta una neoavanguardia artistica a tutti gli effetti. Con le avanguardie, che hanno caratterizzato la storia dell’arte occidentale nel Novecento, ha in comune il desiderio, o meglio, l’urgenza di cambiare il modus operandi generalmente accettato e di evadere dalla “gabbia” della norma e della disciplina, la necessità di rendere l’arte sempre e comunque espressione dell’interiorità più profonda e, soprattutto, uno strettissimo legame con la realtà in ogni suo aspetto: è proprio questa la chiave del successo di massa dei Cannibali del ’77, la creazione di un mondo fatto di matite e pennarelli che era un perfetto resoconto dell’epoca in cui erano immersi, e in cui era perciò inevitabile identificarsi.